lunedì 28 dicembre 2015

BANCHE, nel panico anche le elitè. E per Berlino l’Italia deve affidarsi alla Troika

LOBBY =,Lettera a Lars Feld, consigliere della cancelliera tedesca, Angela Merkel: "Forse dovremmo fare come la Germania e nazionalizzare il credito, ma il problema è che in Europa la legge è più uguale per il più forte".......Caro Lars, ho letto con interesse ma senza sorpresa la tua affermazione sul Corriere della Sera di sabato secondo cui nel 2016 l’Italia dovrà affidarsi alla Troika. Conosco le tue posizioni da quando ti invitai al convegno sull’Eurozona organizzato l’aprile scorso dal think tank a/simmetrie: i paesi del Sud sono in una crisi di debito pubblico causata dalla loro scarsa competitività, cioè dal fatto di avere salari privati troppo alti (ma che c’entra il debito pubblico coi salari privati?); dato che il deficit è brutto, il surplus è bello, quindi la Germania non deve cooperare e chi è in crisi deve fare i compiti a casa (ma se nessuno fosse in deficit, come farebbe la Germania a essere in surplus?). Con questi presupposti, è ovvio che tu ti opponga allo schema europeo di assicurazione dei depositi (Edis, European Deposit Insurance Scheme), offrendoci, in alternativa, il ricorso alla Troika.
La strada giusta verso l’unione, per l’élite tedesca cui appartieni, non è attenuare i rischi creando istituzioni che li mutualizzino, ma alzare l’asticella a chi è in difficoltà. Un darwinismo che non porta da nessuna parte, come l’agonia della Grecia dimostra. Oggi perfino il Cepr, vestale dell’ortodossia, scopre quanto avevamo scritto nel Tramonto dell’euro: il debito pubblico, con la crisi, c’entra poco. Peter Bofinger, membro del Cepr e tuo collega nel collegio degli esperti della Merkel, ha detto il 30 novembre un’altra cosa che sapevamo (perché l’Ilo, agenzia dell’Onu, l’aveva detta nel 2012): il successo tedesco non è dovuto alle virtù della finanza pubblica, ma alla “moderazione salariale”. Pagando relativamente di meno lavoratori relativamente più produttivi la Germania ha trionfato sui mercati esteri. Così facendo, però, ha costretto gli acquirenti esteri a indebitarsi per acquistare beni tedeschi. Le banche del Nord, per sostenere l’industria nazionale – cioè i profitti nazionali (visto che i salari erano “moderati”) – hanno finanziato con grande disinvoltura gli acquirenti esteri di beni nazionali. Finanziare i consumi, però, non è sempre una buona idea: alla fine, il governo tedesco ha dovuto spendere più di 250 miliardi di aiuti di Stato per salvare le sue banche. A noi, invece, è stato vietato di spenderne quattro e c’è scappato il morto: primo dato non scontato di questa triste storia.
Quando Renzi, insediandosi alla presidenza del semestre europeo, ha giustamente osservato che la Germania era stata la prima a sforare il parametro del 3% nel 2003, non credo sapesse il vero motivo di questa violazione: finanziare con oltre 90 miliardi di soldi pubblici l’abbattimento del costo del lavoro (tramite riduzione del cuneo fiscale e misure di sostegno ai redditi troppo “moderati” dalleriforme Hartz). Un primo aiuto di Stato, distorsivo della concorrenza, seguito durante la crisi da un secondo, gigantesco: i 250 miliardi di cui parlavo. Tu dici: “Allora erano necessari per evitare il contagio, ma oggi lo Stato italiano non deve intervenire, perché forse non ci sarà panico”. Scusa, Lars! Cosa vuoi che provochi, se non panico, il rifiuto di procedere verso l’Edis, unito a quello di farci aiutare da soli le nostre banche? La sfiducia verso lebanche si sta diffondendo a macchia d’olio, e non è escluso si arrivi a una corsa agli sportelli. Ma soprattutto, caro Lars, menzionando la Troika hai scatenato un panico più pericoloso per voi: quello delle nostre élite. Finché il “ce lo chiede l’Europa” serviva a tagliare i nostri stipendi e le nostre pensioni, ai nostri piani alti erano d’accordo. Ma tu ci sei andato giù duro, e gli hai fatto capire che da oggi il “ce lo chiede l’Europa” serve a espropriarli delle loro banche e del loro potere, via commissariamento della Troika. E questo ai nostri leader piace molto di meno!
Improvvisamente Renzi vuole “uscire dalla cultura della subalternità”, Patuelli invoca parità di trattamento per il sistema bancario italiano, Bankitalia si lamenta, per bocca di Barbagallo, dei vostri “nein”. Chissà se Renzi accetterà di essere “berlusconizzato” a colpi di spread? E se lo fosse, siamo sicuri che l’elettorato benpensante, la nostra “sinistra lompo”, non comincerà a porsi domande sul progetto europeo? Qualche curiosità gliela fai venire tu, quando dici che sì, voi avete appena salvato laNordbank per 3 miliardi, ma che c’entra: lì l’azionista non potevi colpirlo col bail-in, perché è pubblico! Ah sì!? Quindi mentre al Sud privatizziamo per “fare le riforme”, nel paese moralizzatore par excellence il 45% del sistema bancario è in mano pubblica, incluse Landesbanken e Sparkassen, piene di crediti deteriorati che però sfuggono alla vigilanza europea, costruita su misura per ignorare 1697 piccole banche tedesche, che al bisogno vengono salvate con soldi pubblici “perché l’azionista è pubblico”. Ma allora, forse, un’alternativa alla Troika c’è: fare come la Germania, nazionalizzare le banche. Se lo fate voi che siete bravi! Il problema è che in Europa la legge è uguale per tutti, ma più uguale per il più forte. Ti ringrazio di averlo ricordato al mio governo, che spero ne tragga le debite conclusioni. Lo avrai, caro Lars, il bail-in che pretendi da noi italiani, ma con che moneta si salderà a deciderlo tocca a noi.

Le nuove banche ai risparmiatori: «Non daremo risarcimenti»Le nuove banche ai risparmiatori: «Non daremo risarcimenti»


Altolà dei consigli degli istituti risanati. Il Tesoro non esclude l’aumento delle risorse del Fondo di solidarietà Il nodo delle richieste ai liquidatori. Un decreto dovrà definire i criteri per i rimborsi che saranno valutati caso per caso.............Il diritto al risarcimento del danno è salvo. Il guaio è non c’è più nessuno, a parte il Fondo di solidarietà, ed entro limiti molto stretti, che potrebbe risarcire gli investitori eventualmente truffati da Banca Marche, Banca Etruria, Cariferrara e Carichieti nel collocamento delle obbligazioni subordinate. Le loro azioni di responsabilità potranno essere indirizzate, infatti, solo alle vecchie banche che oggi sono state messe in liquidazione coatta, e che non hanno più un euro in cassa. 
I consigli di amministrazione delle nuove banche nate dalle ceneri dei quattro istituti hanno fatto sapere, con una nota diffusa la vigilia di Natale che in base alle norme europee ed italiane loro «non possono essere oggetto di azioni da parte dei vecchi azionisti e obbligazionisti subordinati». Le nuove banche «buone», conferma il ministero dell’Economia, sono nate il 22 novembre con il decreto che ha messo in risoluzione i vecchi istituti, e non hanno pendenze con il passato. Né ha qualcosa da farsi perdonare la nuova banca «cattiva», nata lo stesso giorno, alla quale sono stati trasferiti i crediti in sofferenza. Tutto dunque è destinato a scaricarsi sui vecchi istituti in liquidazione, dove però non c’è più nulla da vendere e con il quale eventualmente risarcire.
IL PROBLEMA non è solo teorico. Anche per questo al ministero dell’Economia non si esclude, se domani ci fosse la necessità, di aumentare le risorse del Fondo di solidarietà, oggi limitate a 100 milioni di euro, a fronte di 800 milioni di euro di obbligazioni subordinate emesse dalle quattro banche. Nelle intenzioni del governo il Fondo dovrebbe intervenire per ristorare solo i piccoli investitori danneggiati dall’azzeramento delle obbligazioni, anche ricorrendo agli arbitrati caso per caso. Secondo il Tesoro sarebbero non più di 2 mila (su 11 mila obbligazionisti totali), con un capitale di 90 milioni. I criteri per l’accesso al Fondo, riservato alle persone fisiche e agli imprenditori individuali, devono essere stabiliti da un decreto dell’Economia e della Giustizia, ma saranno comunque molto selettivi. L’intervento sarà valutato da un collegio arbitrale e il suo contributo sarà parziale, entro «un ammontare massimo» delle perdite. «Resta salvo il diritto al risarcimento» degli investitori, c’è scritto nella legge, ma non essendoci più nessun altro in grado di pagare, tutto rischia di finire lì, con il Fondo di solidarietà. Rivolgersi a un tribunale, per una società, o una persona esclusa dal Fondo, rischia seriamente di rivelarsi cosa inutile. 
La «risoluzione» delle quattro banche, con l’inedito venir meno dei vecchi soggetti giuridici, sta già creando un po’ di confusione legale. In questi giorni, ad esempio, sono state notificate le interruzioni di alcune cause che vedevano coinvolta la vecchia Banca Marche, i suoi azionisti e gli amministratori. Il vecchio istituto non c’è più. Nelle cause passive verrà sostituito dalla liquidazione coatta, che non ha soldi. Ma non è chiaro se qualcuno, e chi, sostituirà le vecchie banche nelle cause attive, quelle in cui sono loro a chiedere i danni, ad esempio agli ex amministratori (Banca Marche ha chiesto 280 milioni, Cariferrara 300). Soldi che di regola dovrebbero essere rimborsati ad azionisti e obbligazionisti. 

Banche, profili modificati e rendimenti abbassati: tutti i trucchi per rifilare prodotti rischiosi ai clienti a loro insaputa

Banca Etruria offriva ai piccoli risparmiatori obbligazioni subordinate a un tasso del 3,5%, mentre gli investitori istituzionali, consapevoli del rischio, ottenevano di più. E l'istituto ha anche falsato i risultati del questionario Mifid di un centinaio di clienti per poter vendere loro strumenti complessi. Nel 2013, poi, chi aveva bond subordinati si è visto concedere per venderli solo 48 ore a cavallo delle feste natalizie..........................................“Non è vero che la nuova banca non risponde per quanto accaduto nel vecchio istituto di credito, perché c’è continuità nei rapporti fra il passato e il futuro”. Lucio Golino, avvocato specializzato nei temi della tutela del risparmio e vicepresidente dell’Adusbef, smonta così la tesi secondo cui le “good bank” subentrate a Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti non possano essere oggetto delle pretese dei precedenti soci e obbligazionisti subordinati, come vorrebbe il presidente Roberto Nicastro. “Se nella nuova realtà si trasferiscono i rapporti attivi come conti correnti o i contratti di deposito titoli, allora succedono anche gliobblighi contrattuali e quindi anche gli inadempimenti”, precisa l’avvocato dell’associazione dei consumatori, in prima linea nella battaglia a difesa dei risparmiatori truffati. Con queste premesse, si annuncia un duro braccio di ferro per i sottoscrittori di prodotti subordinati che, in conseguenza della linea intrapresa dall’esecutivo e da Nicastro, dovrebbero contare solo sul fondo ad hoc che ha una dotazione di appena cento milioni. Intanto più passa il tempo dal decreto Salva-banche, più si allunga la lista degli espedienti messi in atto dagli istituti di credito per truffaremigliaia di risparmiatori. Complice anche la fiducia dei clienti nelle banche e nei loro impiegati, soprattutto nelle realtà di provincia dove il legame con il territorio è più intenso e fa abbassare la guardia al compratore.
Per i piccoli risparmiatori danno e beffa: rendimento più basso per “camuffare” il rischio - Qualche esempio concreto? Da uno studio di Bankitalia sulle 29 emissioni di bond subordinati delle quattro banche salvate per decreto emerge che i titoli piazzati tra i piccoli risparmiatori erano stati studiati ad hocper non dare nell’occhio. Banca Etruria, per esempio, offriva obbligazioni subordinate a tasso fisso per 5 anni con un rendimento contenuto: il 3,5 per cento. Che indirettamente indicava una bassa rischiosità del titolo, visto che il rendimento è appunto il “premio al rischio” che l’investitore si assume. A uno sguardo superficiale, dunque, quei prodotti apparivano sicuri, al punto di essere paragonabili a Btp di pari durata. Ma in realtà con i buoni del Tesoro non avevano nulla in comune. Come se non bastasse, poi, la banca usava due pesi e due misure nella vendita dello stesso strumento: agli investitori istituzionali, consapevoli dei rischi, l’istituto offriva rendimenti più elevati. Ai piccoli risparmiatori, invece, andavano ritorni più bassi probabilmente proprio per non destare sospetti e dubbi. E Banca Etruria non era affatto un’eccezione. Lo conferma il fatto che a giugno 2013 anche Banca Marche ha emesso titoli subordinati con un rendimento a 10 anni del 12,5%, contro il 4,52% del Btp di pari durata, finiti tutti nei portafogli degli istituzionali, mentre solo sei mesi prima era stato collocato al pubblico retail, cioè le famiglie, un subordinato analogo ma con un rendimento del 6 per cento. Molto più basso di titoli analoghi di altri istituti più solidi.
I profili modificati da Banca Etruria all’insaputa di un centinaio di clienti – Ma le magagne per mantenere in piedi gruppi decotti a causa di prestiti allegri e mala gestione non si fermano certo a questo. Dall’indagine sul suicidio del pensionato Luigi D’Angelo in corso ad Arezzo stanno emergendo ogni giorno nuovi tasselli: la Popolare dell’Etruria, ad esempio, avrebbe anchemodificato i “profili” di un centinaio di risparmiatori di Civitavecchia redatti ai sensi della direttiva europea Mifid per renderli compatibili con investimenti ad alto rischio. In questo modo i clienti, che non hanno dato alcuna autorizzazione alla modifica e non hanno mai dichiarato di essere pronti a rischiare i loro soldi in vista di un potenziale guadagno, risultano responsabili della scelta azzardata. Come sia stato possibile lo suggerisce il racconto fatto al Corriere della Sera dal figlio di una cliente della provincia di Arezzo: la madre, casalinga novantenne, è stata chiamata al telefono da un impiegato della banca che le ha proposto di acquistare 75mila di obbligazioni subordinate. E, visto che la signora era malata, i “fogli” sono stati firmati dall’altro figlio, disabile al 100% e come lei non in grado di capire che il capitale avrebbe potuto evaporare, come poi è accaduto. Anche un’altra risparmiatrice, stavolta di Chiusi, ha riferito di aver ricevuto una telefonata dal direttore della filiale che le consigliava di “mettere in obbligazioni” i 26mila euro ricavati dalla vendita della “casetta del babbo”. Con la rassicurazione che “in ogni momento avrebbe potuto prenderli”. Fino a quando “mi ha chiamato e ha detto: quei titoli sono azzerati“.
Consob ha consentito la vendita ai “piccoli” di bond adatti agli istituzionali - Per il ministro Pier Carlo Padoan siamo di fronte a chiari casi di “asimmetria informativa”: la banca cioè sa bene che cosa vende ed è in conflitto d’interesse quando piazza le sue obbligazioni al parco buoi, mentre il risparmiatore acquista senza conoscere i limiti del prodotto. “Le autorità devono aiutare (…) gli investitori retail, cioè i cittadini normali, a riequilibrare un po’ il terreno di gioco accrescendo la propria conoscenza finanziaria”, ha aggiunto il ministro. I fatti però dimostrano che le autorità di vigilanza agiscono tardi e male. Con il risultato che la corretta informazione resta una chimera. Tornando a Banca Etruria, per esempio, nel 2013 l’istituto ha confezionato e piazzato obbligazioni subordinate per 110 milioni di euro con l’approvazione di Palazzo Koch, che però nella lettera in cui dava il via libera all’emissione specificava che “erano titoli adatti agli investitori istituzionali”. Le cose sono andate diversamente anche grazie alla Consob: l’autorità guidata da Giuseppe Vegas ha autorizzato il prospetto sulla base del quale la banca ha poi venduto i titoli ai piccoli risparmiatori. Magari al posto di bond senior (più sicuri) che nel frattempo stavano andando in scadenza, come testimonia una email scritta il 4 giugno 2013 dal responsabile Private del gruppo e pubblicata dal Sole 24 Ore: “Vi ricordo che per il collocamento di questa obbligazione (…) avete a disposizione tutte le scadenze di obbligazioni/time depo di questi giorni, tutti i titoli in plusvalenza, tutti i titoli obbligazionari della banca (specialmente se a bassa cedola e scadenza breve) presenti nei portafogli dei clienti che reputiate opportuno vendere anticipatamente per sostituirli con la subordinata”, vi si legge.
Per questi motivi la procura di Arezzo ha aperto un’indagine per truffa sull’intera filiera di emissione di obbligazioni subordinate acquisendo il prospetto depositato in Consob il 22 aprile 2013 e approvato dall’autorità di vigilanza. Così come il primo supplemento, diffuso a giugno: i piccoli risparmiatori che avessero letto dall’inizio alla fine quelle 35 pagine avrebbero appreso, tra l’altro, che ben il 29% dei crediti erogati dalla banca (ben più della media italiana) risultava “deteriorato”, cioè difficile o impossibile da riscuotere.
La mission impossible del risparmiatore: 48 ore per vendere i titoli a rischio. Sotto Natale – Purtroppo per i piccoli risparmiatori, non è stato l’unico caso in cui le autorità non hanno vigilato e migliorato la comunicazione ai cittadini come nell’auspicio del ministro Padoan. Alla fine dello stesso anno è arrivato un altro “pacco di Natale” per i piccoli investitori. Venerdì 20 dicembre 2013 la Consob ha infatti pubblicato sul proprio il sito il supplemento al prospetto informativo dei bond emessi in primavera e venduti a risparmiatori inconsapevoli del rischio. La pubblicazione di un supplemento, in base alla normativa Ue, fa sì che chi ha in portafoglio quegli strumenti abbia almeno due giorni di tempo per la “revoca integrale“, cioè per venderli. I due giorni sono il minimo di legge, che l’autorità di vigilanza può estenderese necessario. In quell’occasione la commissione presieduta da Vegas non l’ha fatto: i clienti della banca, ammesso che avessero letto il supplemento, hanno avuto quindi a disposizione per esercitare il loro diritto di revoca solo due giorni a cavallo delle festività. In pratica un’operazione impossibile. Per di più l’istituto ha continuato a suggerire alla clientela di mantenere i titoli in portafoglio in attesa di tempi migliori.
La lettera di Bankitalia nascosta ai risparmiatori – Occorre aggiungere che solo poche settimane prima, il 3 dicembre 2013, Bankitalia aveva scritto al consiglio di amministrazione dell’Etruria una lettera in cui evidenziava il “progressivo degrado della situazione aziendale” e sentenziava che la banca era “ormai condizionata in modo irreversibile da vincoli economici, finanziari e patrimoniali che ne hanno di fatto ‘ingessato’ l’operatività”, tanto da renderla “non più in grado di percorrere in via autonoma la strada del risanamento”. Un’informazione certo non secondaria per chi aveva comprato titoli passibili di trasformarsi in carta straccia in caso di crac dell’istituto. Il comunicato diffuso il 13 dicembre dai vertici dell’istituto, però, non vi faceva cenno, limitandosi a riportare che via Nazionale aveva chiesto “ulteriori rettifiche su crediti”, che “non assumono un’entità tale da pregiudicare il mantenimento dei requisiti prudenziali”. Quanto alla Consob, sostiene di non essere stata messa a conoscenza dei risultati dell’ispezione di Palazzo Koch, anche se l’ex ispettore di Bankitalia Giuseppe Scattone, nella consulenza tecnica per la procura di Arezzo, scrive che l’ente presieduto da Ignazio Visco il 6 dicembre 2013 ha informato per lettera la vigilanza dei mercati “delle iniziative assunte dopo gli accertamenti ispettivi”. Davanti a questo quadro fa specie che, sul tema delle quattro banche salvate, il ministro Padoan parli di problemi “culturali” dei piccoli investitori e di una “scarsa educazione finanziaria, su cui l’Italia come paese deve lavorare”. Un tema caldo in un periodo in cui anche le Poste, i cui utenti tradizionalmente hanno una bassa cultura finanziaria, stanno vendendo prodotti finanziari sempre più complessi.
In attesa della nuova direttiva Ue c’è il nodo delle commissioni – Intanto, al momento, ai risparmiatori italiani non resta che confidare nell’Unione europea, che già da tempo ha approvato la Mifid 2. Cioè una nuova direttiva a tutela del risparmio, che dovrebbe impedire il ripetersi di casi simili. Il testo è stato licenziato da Strasburgo nell’aprile 2014 e prevede limiti alla vendita di obbligazioni rischiose, oltre a garantire una maggiore trasparenza per i clienti e regole severe sui margini che le banche ottengono su ciascuna vendita. Le nuove regole sarebbero dovute entrare in vigore nel 2017, ma la lobby bancaria è riuscita a farle slittare di un anno per poter continuare a fare profitti sulla pelle dei piccoli risparmiatori e in barba al conflitto d’interessi. Non a caso la norma più discussa riguarda i vincoli ai margini su prodotti complessi (dai fondi alle obbligazioni) dalla cui vendita gli istituto di credito intascano una commissione. Su queste vendite, come nel caso dei quattro istituti italiani, le banche sono protagoniste di conflitto d’interesse latente che si manifesta apertamente solo quando le cose precipitano. Ecco perché in alcuni Paesi, dove la cultura finanziaria è ben più evoluta rispetto all’Italia, queste commissioni, dette “diritto di retrocessione”, sono vietate. In Italia, invece, questa pratica è consentita e ampiamente diffusa. Se davvero il governo vuole far crescere l’educazione finanziaria del Paese, quale migliore occasione di introdurre il divieto su queste commissioni allineandosi a quanto viene già fatto in paesi come la Gran Bretagna, l’Olanda e l’Australia. Basta poco per dare un segnale importante ai piccoli risparmiatori italiani. Sempre che la lobby bancaria del Paese non si opponga.