domenica 24 gennaio 2016

«Così hanno spolpato la banca Tercas»: chiesto processo per Di Matteo, Nisi, Sarni, Di Stefano

TERAMO. Così sono bravi tutti a fare impresa: milioni di euro sottratti alla banca Tercas falsificando carte, celando fatti, forzando la mano sui requisiti per ricevere un prestito e tutto grazie al direttore amico e complice.
Un fiume di denaro che usciva dall’istituto teramano, ha ricostruito la Procura, per finire attraverso vorticosi passaggi di mano in società di amici e fondi in paradisi fiscali e più di una volta anche su conti bancari dello stesso ex direttore a Singapore o in un fondo misterioso in Lussemburgo.
Alchimie finanziarie che avrebbero permesso un arricchimento illecito ad un manipolo di persone che però non sono serviti a farli passare indenni dalla giustizia.
C’è questo e molto altro dietro la richiesta di processo avanzata ieri dalla Procura di Roma (competente per reati di elusione del controllo bancario) per Antonio Di Matteo e altri 15 persone. Si tratta dell’ex direttore della Tercas che ora dovrà rispondere di reati gravissimi e che di fatto avrebbe creato i presupposti per il dissesto dell’istituto di credito poi acquistato dalla Banca Popolare di Bari.

A processo l'11 febbraio 2015 finiranno dunque Antonio Di Matteo ex direttore, la compagna Cinzia Ciampani, gli imprenditori Raffaele Di Mario, Francescantonio Di Stefano (imprenditore televisivo di 7Gold) di Avezzano, Pancrazio Natali di Campli, l’imprenditore Antonio Sarni di Ascoli Satriano (Fg), Lino Nisii, presidente della Tercas, Pierino Isoldi, Gianpiero Samorì, Gilberto Sacrati, Cosimo De Rosa, Lucio Giulio Capasso di Terracina, Paola Ronzio, Saverio Signori, Vittorio Casale e la stessa Cassa di Risparmio della provincia di Teramo.
Persone offese nel processo sono state indicate la Banca d’Italia, la stessa Tercas ed i curatori fallimentari di Dimacostruzioni spa e Dimatour spa. 
Intanto anche l’Adusbef chiederà la costituzione di parte civile.
IL GRUPPO DI POTERE E IL POTERE ASSOLUTO
Il reato più grave contestato è quello di associazione a delinquere «con la finalità di essersi associati tra loro al fine di commettere delitti di ostacolo alla funzione di vigilanza, di appropriazione indebita, di bancarotta fraudolenta e di riciclaggio anche transnazionale». 
Il reato è contestato a Di Matteo, direttore da giugno 2005 al 30 settembre 2011, che avrebbe avuto una «gestione proprietaria della banca», cioè gestendo il patrimonio bancario come fosse cosa propria ed esercitando «un potere assoluto di decisioni delle pratiche di concessione di finanziamenti». Una montagna di soldi che poi finivano a vecchi amici di quest’ultimo, anche già clienti della Unipol, la banca dalla quale proveniva Di Matteo. 
Un legame non del tutto reciso se è vero che lo stesso Consorte, quando Di Matteo era già in Tercas, gli chiese un fido di 60milioni di euro per tentare la famosa scalata alla Unipol da consegnare al centrosinistra (famosa la frase di Fassino a Consorte: «abbiamo una banca»), una scalata che costò una condanna a 3 anni e 10 mesi a Consorte. 
Il problema è che molte somme ingenti uscivano dall’istituto bancario di Teramo in carenza di presupposti per concedere il fido «al di fuori dai protocolli di garanzia previsti a fronte della disponibilità ad effettuare operazioni di acquisto con patto di rivendita di azioni proprie di Banca Tercas per assicurare a Di Matteo il controllo assoluto della banca, dissimulando l’effettiva consistenza del patrimonio di vigilanza dell’istituto e inducendo così in errore la Banca d’Italia».
Fu grazie a questo errore e alla dissimulazione del reale stato di dissesto della Tercas che la Banca d’Italia poi autorizzò l’acquisto della Banca Caripe, ancor di più depauperando il proprio patrimonio.
La procura di Roma ha stimato in 220 milioni di euro il danno complessivo procurato alla cassa teramana tra la incredibile distrazione di tutti, mondo politico in primis.
Il tutto sarebbe avvenuto con una serie di atti che nel tempo hanno prodotto il supposto dissesto con operazioni finanziarie anche complesse che hanno creato o la bancarotta in talune società o lo spostamento di ingenti capitali in paradisi fiscali tra i quali il punto finale era San Marino.
Secondo la procura Di Matteo sarebbe stato l’ideatore della associazione a delinquere essendo socio occulto dell’imprenditore abruzzese televisivo Francescantonio Di Stefano e per questo avrebbe erogato fidi per milioni di euro. 
Con questi fidi erogati Di Matteo avrebbe poi lucrato, anche grazie a ditte schermo intestate alla convivente Cinzia Ciampani, con la società Immobiliare Tolstoj srl. Come dire che l’amicizia contava ma il tornaconto personale contava molto di più.
Dal canto suo la Ciampani, titolare anche della Nettuno Fiduciaria srl di Bologna e intestataria di conti correnti Tercas, risultava beneficiaria di bonifici di ritorno da molti soggetti finanziati da Di Matteo per poi acquisire quote pari al 22% della banca sanmarinese Smib, interamente acquistata da Raffaele Di Mario.
Attraverso questa banca venivano poi effettuate gran parte delle operazioni che servivano per far perdere le tracce dei soldi.
Nel frattempo Di Stefano che veniva copiosamente finanziato da Tercas attraverso la Fincentro Uno srl acquistava 2.250.000 azioni proprietarie della banca, una parte delle quali poi venivano cedute al fondo lussemburghese Cambria Investments. 
Secondo gli inquirenti, inoltre, Di Stefano avrebbe svolto il ruolo di mero esecutore delle direttive di Di Matteo in ordine alla gestione della decozione del gruppo “Di Stefano” e nel frattempo avrebbe continuato a ricevere fino a 49mln di euro di finanziamenti Tercas.
Figura di spicco della associazione a delinquere, secondo l’accusa, è anche l’imprenditore Raffaele Di Mario, dominus del gruppo Dimafin, anche lui attraverso la Immoservice srl, dopo aver ricevuto fidi bancari della Tercas con procedure d’urgenza, acquistò 2.250.000 azioni della Tercas girandone 500mila al solito fondo Cambria Investment in Lussemburgo mentre 1.150.000 vennero cedute alla Modena Capitale Banking Partecipation spa di Gianpiero Samorì e una parte finì anche a società del gruppo Sarni. 

SAMORI’
Stessa trafila per Samorì che acquista per il tramite delle sue società 2.400.000 azioni della Tercas anche lui abbondantemente finanziato dallo stesso istituto finanziario grazie all’intervento di Di Matteo che infatti lo propone quale cliente affidabile alla Banca popolare di Spoleto dopo la cessazione del rapporto con la banca Tercas.
Crediti oggi incagliati per un ammontare di 11.500.000 euro che difficilmente ritorneranno nelle casse della banca.
In totale del 2008 al 2010 Samorì avrebbe beneficiato di finanziamenti per poco più di 24 milioni di euro girati a favore della Gestione Grandi Hotels Central Park srl al fine di rilevare da Ripresa Srl un complesso immobiliare destinato attività commerciale di Bologna al prezzo di 19 milioni di euro.
Seguirono una serie di operazioni finanziarie anche in paradisi fiscali con base a San Marino che avevano come beneficiari delle società riconducibili alla compagna di Antonio di Matteo.
SARNI
Anche il signore della ristorazione, Antonio Sarni, imprenditore del più noto “gruppo Sarni” secondo la procura era partecipe attivo dell'associazione a delinquere contribuendo anche lui ad acquistare 500.000 azioni della Banca Tercas per il tramite delle società Finsud srl e Maglione srl dopo aver beneficiato di numerosi fidi che venivano concessi in carenza di presupposti.
Nel gruppo di potere poi spicca Gilberto Sacrati, imprenditore nel settore immobiliare, operante in stretto e costante collegamento con Di Matteo con il quale era legato da rapporti di affari e già cliente della Unipol Banca sotto la gestione dello stesso Di Matteo e da lui presentato alla Cassa di risparmio, avrebbe beneficiato indebitamente attraverso società a lui riconducibili di finanziamenti erogati oltre ad un mutuo ipotecario di 15.600.000 poi ridotto a 12 milioni. La trafila si ripete perché poi li flusso finanziario in uscita dalla Tercas finiva alle solite società degli altri indagati e a quelle riconducibili allo stesso Di Matteo.

Il meccanismo era consolidato e secondo la procura le operazioni avevano l’unico scopo di far perdere le tracce del denaro e per questo dovevano transitare su conti correnti di appoggio situati in Svizzera, Lussemburgo, Singapore, Gran Bretagna. A San Marino invece risiedevano i conti correnti finali destinatari delle somme «prove di appropriazione indebita di riciclaggio, di distrazione e bancarotta fraudolenta».

LINO NISI, IL PRESIDENTE
Tra gli indagati che dovranno rispondere del reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità di vigilanza c'è anche Lino Nisi il quale avrebbe materialmente realizzato una serie di artifici per aggirare tali controlli destinando gli imprenditori Di Stefano, Di Mario, Samorì, Natali, Isoldi, Sarni, acquirenti delle azioni proprie della banca, destinatari di ingenti finanziamenti erogati in carenza di presupposti, di affidabilità e ad oggi tutti debitori della banca. Nisi e gli altri avrebbe rappresentato fatti non rispondenti al vero sulla situazione economica patrimoniale e finanziaria della stessa banca e avrebbe occultato fatti che avrebbe dovuto comunicare invece alla Banca d'Italia.
Tra le mancate comunicazioni anche gli intrecci di interessi con la banca di San Marino Smib ed il relativo acquisto del capitale di quest'ultima, operazione rivolta ad evitare la liquidazione della banca di San Marino realizzato con la vendita di 7,5 milioni di euro delle azioni Tercas possedute da Di Stefano e con la concessione del finanziamento di 2,5 milioni di euro deliberato d'urgenza.
In particolare presidente e direttore si guardarono bene di informare la vigilanza del fatto che gestivano la banca di San Marino attraverso una persona di loro fiducia, Roberto Petropaoli, dipendente Tercas messo in aspettativa per ricoprire la carica di direttore generale della Smib, e Franco Iachini, presidente Smib.
GLI AFFIDAMENTI IMPROPRI
Per quanto riguarda l'appropriazione indebita la procura è riuscita a ricostruire tutti gli affidamenti impropri agli imprenditori amici che avrebbero causato lo stato di default della banca teramano e che risultano erogati fino al marzo del 2013.
Nello specifico al gruppo Di Mario sono andati 25,3 milioni di euro, al gruppo Di Stefano 49,3 milioni di euro, al gruppo Natali 25,4 milioni di euro, al gruppo Isoldi 28,2mln mentre a Samorì la banca ha concesso fidi e prestiti per 11,3 milioni di euro, al gruppo Casale quasi 40 milioni, al gruppo Sacrati quasi 21 milioni e al gruppo De Rosa 30 milioni di euro.
E la banca è pronta per essere svenduta.

sabato 23 gennaio 2016

Amag: fatturato in calo nel 2015

Vendite in calo nel 2015 per Amag: l'importatore di vetture ha realizzato un fatturato di 4,4 miliardi di franchi, 200 milioni in meno dell'anno precedente.

La flessione è dovuta all'abolizione del cambio minimo euro-franco, che ha portato a notevoli riduzioni del prezzo delle automobili, spiega l'azienda in un comunicato odierno.

AMAG ha registrato "risultati solidi", nonostante le condizioni decisamente avverse, si legge nella nota. Oltre al rafforzamento del franco vi è stato lo scandalo delle emissioni che ha colpito Volkswagen, uno dei marchi commercializzati da Amag, insieme ad Audi, Skoda e Seat.

Con 42'212 vetture vendute Volkswagen rimane peraltro la più acquistata in Svizzera, con una quota di mercato del 13%. Il marchio si colloca sul gradino più alto del podio per la 16esima volta consecutiva, registrando al contempo il secondo miglior risultato dall'inizio delle importazioni. Il modello Golf è per la 40esima volta l'auto più venduta in Svizzera.

Riguardo al 2016 il CEO Morten Hannesbo mostra una certa cautela. "Sebbene gli indicatori generali dell'economia svizzera preconizzino un anno impegnativo, grazie al nuovo orientamento del gruppo Volkswagen vi saranno anche nuove opportunità da cogliere. Al contempo siamo chiamati a rafforzare la fiducia dei nostri clienti verso di noi e, dove necessario, a riconquistarla".

Alla fine dell'anno il gruppo AMAG occupava 5360 dipendenti, di cui 714 apprendisti.


lunedì 4 gennaio 2016

Glencore: produzione di rame in calo nel primo trimestre


Glencore: produzione di rame in calo nel primo trimestre

Nel primo trimestre Glencore, il gruppo con sede a Baar (ZG) numero uno al mondo nelle materie prime unitosi due anni fa con Xstrata, ha registrato un calo della produzione di rame del 9% a 350'700 tonnellate.

In cambio per lo zinco vi è stata una progressione annua del 16% a 356'200 tonnellate.

L'estrazione di piombo è scesa del 4% a 75'800 tonnellate, mentre quella di nickel è aumentata del 7% a 23'800 tonnellate. Stando a una nota odierna, la produzione di ferro-cromo è dal canto suo salita del 15% a 385'000 tonnellate. Tra gli altri minerali, in forte calo l'oro (-16%) e l'argento (-8%) mentre vi sono stati incrementi per il rodio (+25%), il palladio (+8%) e il platino (+5%).

Nel comparto energetico la produzione di carbone è cresciuta del 4% a 35,6 milioni di tonnellate, mentre l'estrazione di petrolio è aumentata del 52% a 2,568 milioni di barili. Quanto alle attività agricole, la produzione è scesa del 15% a 1,4 milioni di tonnellate.

Glencore riduce produzione zinco, 1'500 licenziati..

A causa dei bassi prezzi delle materie prime Glencore riduce di 500'000 tonnellate la produzione annua di zinco in Australia, Perù e Kazakistan. Circa 1'500 persone perdono il lavoro.

Le 500'000 tonnellate rappresentano circa un terzo dell'estrazione annua di tale metallo di Glencore, scrive il gruppo in un comunicato odierno. Ciò corrisponde inoltre a circa il 4% della produzione mondiale. Nel quarto trimestre 2015 la diminuzione sarà di 100'000 tonnellate.

L'annuncio ha comportato la maggiore progressione della quotazione dello zinco da quattro anni, ma il prezzo si situa ancora nettamente al di sotto dei livelli di inizio 2015. Proprio il prezzo è il motivo della misura adottata da Glencore: il gruppo vuole preservare il valore delle riserve presenti nelle miniere, spiega la nota, secondo cui il prezzo attuale non corrisponde al valore di queste scarse risorse.

Nella miniera australiana Lady Loretta e quella peruviana Iscaycruz la produzione sarà sospesa completamente, mentre nelle miniere George Fisher e McArthur River in Australia e in diversi siti in Kazakistan verrà ridotta. Interessata dalla misura è anche l'estrazione di piombo, che scenderà di 100'000 tonnellate all'anno.

Trattandosi di una misura temporanea è possibile che il personale interessato venga nuovamente assunto più avanti. Per il futuro Glencore si mostra infatti ottimista quanto all'evoluzione a medio e lungo termine del prezzo dello zinco, del piombo e dell'argento.

Sempre a causa del calo dei prezzi, appena mercoledì il colosso delle materie prime - sotto pressione in Borsa negli ultimi mesi - aveva annunciato la sospensione delle attività nella sua miniera di platino Eland in Sudafrica, con la soppressione di 818 impieghi.

..Glencore: misure per 10 miliardi per diminuire indebitamento...

GLENCORE

Glencore: misure per 10 miliardi per diminuire indebitamento

Alla luce della debolezza del mercato delle materie prime Glencore vara un vasto programma di misure: per diminuire il suo indebitamento il gigante prevede un aumento di capitale, il taglio dei dividendi, una riduzione dei costi e la vendita di comparti aziendali.

Nell'insieme la manovra avrà un valore di 10,2 miliardi di dollari, ha indicato oggi la società di Baar (ZG).

L'aumento del capitale azionario sarà di 2,5 miliardi: il 78% è stato sottoscritto dalle banche americane Citi e Morgan Stanley, mentre il rimanente 22% andrà ai membri della direzione (inclusi direttore generale e direttore delle finanze) e a diversi esponenti del consiglio di amministrazione.

Sono inoltre previsti risparmi per 7,7 miliardi di dollari, che si articolano in primo luogo sulla sospensione del dividendo finale 2015 (1,6 miliardi) e di quello intermedio 2016 (0,8). Altri 1,5 miliardi saranno economizzati riducendo il capitale circolante (working capital), mentre 2,0 miliardi dovrebbero arrivare attraverso la cessione di divisioni o partecipazioni. Si aggiungono poi la riduzione di 500-800 milioni degli impegni a lungo termine e un calo degli investimenti per 0,5-1,0 miliardi.

Sul fronte operativo si sta valutando l'interruzione delle attività in due miniere di rame. Uno stop alla produzione per 18 mesi si tradurrebbe in un calo di 400'000 tonnellate prodotte.

Senza gli utili della BNS diventa difficile"

Christian Vitta sulle perdite da primato della banca centrale che metterebbero a rischio i 28 milioni di dividendo destinato al Cantone

A rischio i 28 milioni di dividendo della BNS preventivati dal Governo ticinese? Secondo le indiscrezioni apparse sulla Schweiz am Sonntag la banca centrale avrebbe registrato una perdita di esercizio "da primato" nel 2015. Si parla di una stima di 30 miliardi di franchi, dovuta principalmente alla forza del franco. Una perdita che potrebbe mettere in discussione il dividendo destinato alle casse cantonali.
Già nel 2013 la perdita di circa 9 miliardi da parte della BNS aveva vanificato i 28 milioni inseriti nell'Esecutivo cantonale e avallati da Legislativo nel Preventivo 2014. Situazione poi cambiata l'anno successivo quando, grazie all'utile record di oltre 38 miliardi di franchi della BNS, il Ticino aveva ricevuto ben 56 milioni.
E ora, che scenario si prospetta data la perdita da primato? Il direttore delle Finanze ticinese Christian Vitta conta di poter contare sulle riserve, sottolineando che non erano possibili altre grandi vie di mezzo per ricontabilizzare i 28 milioni di franchi per il 2016. "Il dato messo a preventivo è stato fissato sulla base di quanto fatto dalla Confederazione e da un buon numero di Cantoni" ha spiegato al Corriere del Ticino. "Oltretutto a determinare la partecipazione agli utili vi sono anche le riserve accumulate dalla BNS che a fine 2014 ammontavano a oltre 28 miliardi. Il meccanismo è dunque un po' complesso, anche se è chiaro che con una perdita del genere incassare il relativo dividendo risulta molto più difficile".
Le stime sulle perdite della BNS non sono ancora ufficiali e Vitta non è ancora in grado di confermare il dato emerso sulla stampa domenicale. Si dovrà dunque attendere le prossime settimane per saperne qualcosa di più. Tuttavia è chiaro, ha aggiunto Vitta, che senza i 28 milioni della BNS "il disavanzo del Cantone diventerebbe maggiore e lo sforzo di risanamento di conseguenza più importante e accelerato". 

Piazza Affari: pessima l'accoglienza riservata al 2016

Pessimo avvio di settimana per le Borse europee che hanno salutato il nuovo anno con un'ondata di vendite, sulla scia del pesante ribasso accusato dai listini azionari asiatici. A fine giornata il Ftse100 e il Cac40 sono scesi rispettivamente del 2,38% e del 2,47%, mentre il Dax30 ha lasciato sul parterre il 4,28%.
Il focus ritorna sull'area dei 20.500 di Ftse Mib
Molto negativo anche il bilancio di Piazza Affari dove il Ftse Mib ha terminato gli scambi a 20.733 punti, con una flessione del 3,2%, dopo aver segnato nell'intraday un massimo a 21.194 e un minimo a 20.701 punti.
L'indice delle blue chips ha avviato gli scambi già in calo e dopo aver violato al ribasso la soglia dei 21.000 punti, a messo sotto pressione il sostegno di area 20.800/20.700.
Il quadro tecnico ha subito un nuovo deterioramento e per quanto queste prime sedute del nuovo anno siano ancora poco significative in attesa di un pieno ritorno all'operativa, non si può ignorare il segnale negativo inviato nelle ultime due giornate dal mercato.
L'abbandono di area 21.000 da parte del Ftse Mib costringe a spostare nuovamente l'attenzione sul supporto dei 20.500 punti, rotto il quale l'indice scivolerà con buona probabilità verso area 20.000, in corrispondenza della quale è atteso un ritorno degli acquisti.
Non è da escludere che già nelle prossime ore il mercato possa tentare di dare vita ad un recupero che, su tenuta di area 20.500, troverà un primo ostacolo in area 21.000 e una resistenza successiva a 21.200 punti. Oltre questo livello il Ftse Mib potrà mettere nel mirino la soglia dei 21.500 punti, riconquistata la quale si avrà un primo allentamento delle pressione in vendita con successivo allungo verso area 22.000.
Il consiglio al momento è di rimanere a bordocampo, in attesa di capire meglio quale sarà la direzionalità che il Ftse Mib imboccherà nelle giornate a venire.
I market movers in America e in Europa
Per domani sul fronte macro Usa non si segnalano aggiornamenti macro di rilievo fatta eccezione per l'indice settimanale Redbook relativo alle vendite al dettaglio nelle maggiori catene degli Stati Uniti.
In Europa domani sarà diffuso il dato preliminare dell'inflazione di dicembre che dovrebbe attestarsi sulla parità, rispetto al calo dello 0,1% precedente, mentre il dato core è visto in negativo dello 0,2%, in linea con la rilevazione di novembre.
In Germania si conoscerà il tasso di disoccupazione di dicembre che dovrebbe attestarsi al 6,3%, in linea con la lettura precedente, mentre le vendite al dettaglio a dicembre dovrebbero mostrare una variazione positiva dello 0,5%, rispetto al calo dello 0,4% precedente.
Sotto i riflettori Fca
A Piazza Affari da seguire Fca dopo che a dicembre in Italia le immatricolazioni sono aumentate del 18,65%, ma il gruppo guidato da Marchionne è riuscito a fare ancora meglio, registrando vendite in rialzo del 27,1%. La quota di mercato è stata pari al 29,51%, inclusiva dei risultati di Maserati, in crescita rispetto al 27,6% dello stesso periodo del 2014.

Banche, Abi: no controllo istituti, no informazioni da authority

Roma, 4 gen. (askanews) - L'Abi non ha "alcuna funzione di indirizzo o controllo" sulle banche italiane e "non riceve alcuna informazione" dalle authority di vigilanza. Lo sottolinea il direttore generale dell'Abi, Giovanni Sabatini, in risposta alle accuse del 'Comitato vittime del salva-banche'.
L'associazione bancaria, afferma Sabatini, "non svolge alcuna funzione di indirizzo o controllo sull'operato dei propri associati, che agiscono in completa autonomia e in concorrenza fra loro, non riceve alcuna informazione in merito dalle Autorità preposte alla vigilanza nè dai medesimi associati sulle loro attività, in analogia a quanto succede per le altre associazioni di categoria non finanziarie".
L'Abi, aggiunge il dg, "è un'associazione privata di banche e società che svolgono attività finanziaria, che ha per statuto il compito di rappresentare e tutelare i legittimi interessi degli associati in un'ottica concorrenziale coerente con le normative nazionali, dell'Unione europea e internazionali".

Wall Street: ancora well-off, per DJ peggiore avvio anno da 1932..

New York, 4 gennaio. (askanews) - A metà seduta gli indici a Wall Street restano sotto pressione sulla scia del well-off che ha colpito i listini cinesi. Il Dow Jones rischia di archiviare la peggiore seduta di inizio anno dal 1932, quando perse l'8,1%. L'indice delle 30 blue chip è appeso alla soglia psicologica dei 17.000 punti, rotta al ribasso nel durante per la prima volta dallo scorso ottobre. L'S&P 500 invece potrebbe registrare il peggiore inizio anno dal 2001: è sceso sotto quota 2.000, prima volta a livello intraday da metà dicembre.
Le forti vendite dopo un 2015 che per Dow Jones e S&P 500 si è chiuso i ribasso per la prima volta, rispettivamente, dal 2008 e dal 2011 sono dovute al tonfo subito dallo Shanghai Composite (-6,86%, peggiore seduta dal 25 agosto scorso) e dallo Shenzhen Composite (-8,2%, peggiore seduta da inizio 2007). (Segue)..